27 ottobre 2023

ESISTONO DUE TIPOLOGIE DI ALLENATORI (E DI FILOSOFIE DI GIOCO), NON UNA SOLA


Affermare, come negli ultimi tempi fanno in tanti, che nel Calcio esisterebbe solo un tipo di gioco, quello che ha come referente Guardiola, mentre la sua controparte rappresenterebbe un "non gioco", sarebbe come sentenziare che, dei due tipi psicologici messi in evidenza da Gustav Jung, solo uno fosse tale, mentre l'altro rappresentasse una sorta di "non essere umano". Ed invece, se è vero come è vero che sia il tipo introverso che quello estroverso sono figure umane, è altrettanto vero che sia il gioco spagnoleggiante dei "guardiolani" sia quello italianista degli "allegriani", hanno un uguale diritto di essere definiti "tipi di gioco". Quale sia poi la corrispondenza (che certamente esiste) tra i due "tipi" di allenatori e i relativi "tipi" psicologici descritti da Jung resta da stabilire, sebbene tendenzialmente si possa pensare che gli allenatori "idealisti" alla Guardiola siano introversi mentre quelli "pragmatici" alla Allegri siano estroversi.

Comunque stiano psicologicamente le cose, bisogna mettersi in testa una volta e per tutte che i due modi di approcciare le partite di calcio, e le le relative varianti, hanno uguale dignità nel mondo del calcio, al netto dei gusti personali che possono portare ad amare l'uno piuttosto che l'altro. Entrambi questi tipi di strategie calcistiche rappresentano dunque un "gioco", un modo cioè (perché tale è un "gioco") per avere la meglio sugli avversari. È assurdo partire dall'idea che solo il cosiddetto "gioco corto e totale" rappresenti appunto un "gioco", assurdità figlia dell'equazione gioco d'attacco = gioco. Se, sempre per assurdo, esistesse davvero una sola "tipologia di gioco", non vedo come si potrebbe parlare di scontro tattico o strategico, dal momento che il tutto si ridurrebbe ad uno specchiarsi di dinamiche perfettamente uguali. In realtà, in quel caso non si potrebbe neanche parlare di gioco, essendo un gioco per definizione un incrociarsi di scelte diverse con il relativo insieme di variabili, che danno vita ad una infinità di combinazioni. Proprio in questa insensatezza rientra quella metafora usata da Arrigo Sacchi per descrivere quello che, a suo dire, sarebbe il vero modo di giocare a calcio; mi riferisco alla metafora dell'orchestra. Secondo Sacchi, infatti, una squadra dovrebbe comportarsi in campo alla stregua di una orchestra nel suo eseguire una sinfonia, ovvero in modo sempre armonioso e con i singoli interpreti che si muovono all'unisono secondo uno spartito predeterminato. Trovo questa metafora del tutto inappropriata, per la semplice circostanza che una orchestra sinfonica esegue unilateralmente uno spartito senza dover nel contempo misurarsi con un'orchestra concorrente. Una orchestra sinfonica, insomma, è chiusa in se stessa, può e deve limitarsi a concentrare i propri sforzi su ciò che deve fare secondo i dettami del suo direttore, senza preoccuparsi su come un'altra orchestra esegua lo stesso pezzo sotto la direzione di un altro maestro. Semmai, se proprio si vuole trovare una metafora per il calcio, si può pensare alla guerra tra due eserciti, dove ciascuno può e deve operare non limitandosi alle proprie caratteristiche ma adattandosi a quelle dell'avversario, del terreno e della metereologia, oltre al fatto di dover tenere conto delle varianti che lo scontro stesso via via presenta; proprio come in un gioco di carte. Ho preferito tuttavia usare la metafora bellica, sebbene poco piacevole, perché il calcio, in quanto sport di contatto, si presta, per la sua alta fisicità e lo scontro tra gli atleti, a quella similitudine.

Tutto questo che ho appena finito di scrivere si adatta perfettamente alla tanto discussa questione di come Garcia faccia giocare o "non giocare" il Napoli, che vede impropriamente l'allenatore francese accusato di non riproporre, lui che appartiene al tipo opposto di allenatore, il gioco fatto vedere da Spalletti. Per ritornare alla duale natura umana ricordata all'inizio, sarebbe come imporre ad un estroverso di essere introverso, di costringere un uomo ad essere un altro uomo. Questa assoluta scemenza, come tante altre che si sentono in quest'epoca, è frutto della non educazione alla Logica. Anche questa, insomma, è una assurdità dovuta al fatto che difettiamo in Filosofia.

Giuseppe Albano

14 ottobre 2023

GIORGIO ASCARELLI: IL PRIMO E PIÚ GRANDE PRESIDENTE DEL NAPOLI

Giorgio Ascarelli
Se non conoscete la grande storia umana, tragica ed eroica ad un tempo, di uomini come Giorgio Ascarelli non potrete mai considerarvi napoletani nel vero senso della parola. Nella storia di Napoli, la grandezza di quest'uomo, per quanto la cosa possa apparirvi esagerata, è equiparabile a quella di Federico II di Svevia. Se il più grande uomo della storia (così viene definito il potentissimo imperatore medievale) insignì Napoli come capitale della cultura mondiale edificando qui, col proprio nome, la prima università laica al mondo, Giorgio Ascarelli appose nella nostra città il sigillo del primo stadio di proprietà per una società calcistica italiana, quella del suo e del nostro Napoli, sebbene l'impronta più importante che ci ha lasciato è quella di una imprenditorialità all'avanguardia che al Nord finora hanno solo millantato di avere. L'umiltà di Giorgio Ascarelli - e ciò testimonia ancor di più della sua grandezza - gli impose di non mettere il proprio nome allo stadio battezzandolo invece come Stadio Vesuvio, che tuttavia, poco tempo dopo, fu ribattezzato in suo onore come Stadio Ascarelli da un popolo napoletano capace in quell'epoca di riconoscere i propri eroi.

Se, dunque, sei un vero tifoso del Napoli, ma soprattutto un autentico napoletano, e che come tale tieni alle tue radici ed alla storia della città in cui hai avuto la fortuna di nascere, non puoi non conoscere un uomo come Giorgio Ascarelli, la cui vita rappresenta una parabola non solo della città di Napoli, in un drammatico periodo storico come quello del ventennio fascista, ma dell'intera esistenza umana nella sua più profonda tragicità.

Giorgio Ascarelli era un grande ebreo napoletano, industriale nel senso più vero e moderno del termine, tanto moderno da essere più moderno di quelli attuali. Il suo modo di fare azienda, infatti, era di stampo anglosassone, scevro di quel parassitismo statale che tanto caratterizza il malato capitalismo italiano, dove la sua più grande espressione, la Fiat, vivacchia da decenni di casse integrazioni elargite ad intervalli praticamente regolari.

Giorgio Ascarelli aveva un'altra grande virtù, quella di essere ebreo, una virtù che paradossalmente segnò tragicamente la sua esistenza postuma piuttosto che quella in vita. Dovete sapere, infatti, che il fascismo e Mussolini, ormai devoti alla bestia di satana Hitler, tanto da promuovere quell'infamia delle leggi razziali, vollero cancellare la memoria della sua esistenza arrivando finanche nei registri dell'anagrafe, dove il suo nome venne eliminato. Bisognava sradicare dalla storia il semplice fatto che egli fosse esistito, un tragico destino che venne imposto a tutti gli ebrei. Sì, per il fascismo Giorgio Ascarelli non era mai nato. Tutto di lui doveva sparire, il suo nome, le sue azioni e finanche il semplice ricordo che si aveva di lui. E proprio perché di lui niente si ricordasse, anche il suo semplice essere esistito, si decise di cambiare il nome dello stadio da lui costruito, nome che a furor di popolo gli era stato precedentemente assegnato.

Ma la Storia (e questa volta lo scrivo col maiuscolo) è più grande di qualunque infamia, e restituisce il nome e la dignità a chiunque abbia fatto del bene per la propria comunità.

Giorgio Ascarelli, il più grande presidente della Storia del Calcio Napoli.

Giuseppe Albano

10 ottobre 2023

QUELLI DEL NAPOLI SONO GIOCATORI O TRENI?! SANNO GIOCARE SOLO SUI BINARI


Ho l'impressione che abbia ragione il professor Bacconi quando dice che nel Napoli post Spalletti si sta ripetendo la stessa cosa che vedemmo nel Napoli post Sarri. Sembra cioè che, così come dopo Sarri si palesò un gruppo di calciatori incapace di affrancarsi dagli schemi in cui erano stati precedentemente instradati, tanto da rigettare qualunque allenatore con un gioco diverso (compreso lo stesso Spalletti), oggi ci sia un gruppo di calciatori incapace di accettare qualunque tattica che non sia quella spallettiana. E Bacconi conclude il suo ragionamento affermando se non sia il caso che il Napoli si liberi di questi giocatori piuttosto che di Garcia, così come sarebbe stato opportuno, a quel tempo, che De Laurentiis si fosse liberato, come avrebbe voluto Ancelotti, di quelli che poi avrebbero fatto l'ammutinamento, piuttosto che del grande allenatore. D'altra parte, questo ragionamento del professor Bacconi non fa una grinza se si pensa che lo scudetto spallettiano è arrivato proprio dopo quella tardiva epurazione
Al ragionamento sinistramente sensato del professor Bacconi, io aggiungo che, non solo sembra effettivamente essersi formato un gruppo di calciatori incapace di fare a meno di Spalletti, ma persino una intera città, carta stampata compresa, incapace di vedere il calcio se non con gli occhi del toscano. Quanta mediocrità e provincialismo vedo in questo atteggiamento!

Addentriamoci ora nella questione calciatori, dunque, piuttosto che, come è diventata abitudine in questi giorni, indagare sulle presunte scarse abilità dell'attuale allenatore.
Un comico napoletano del gruppo The Jackal, in una recente pubblicità di una marca di caffè esclama: "...ma chistu cafè ce l'amma bere o l'amma ricicla?" Parafrasando quell'esclamazione, a proposito del Napoli attuale, io esclamo: "Ma chisti giocator do' Napol so jucatur e pallon o treni?!"
Mi riferisco al fatto che molti giornalisti, come Chiariello, Del Genio e Troise, vanno dicendo che i calciatori del Napoli, allenati da Garcia, starebbero giocando molto al di sotto delle loro possibilità perché non immessi su quei determinati binari tattici, come accadeva con Spalletti, tali da permettere loro di muoversi in modo predefinito, alla stregua di quei calciatori immaginari dei noti giochi per la playstation.
Ora io mi chiedo se sia normale che dei calciatori sappiano esprimersi in maniera decente solo se immessi su determinati binari. Se così fosse dovremmo chiedere a De Laurentiis di ingaggiare non un direttore sportivo ma un direttore delle ferrovie. Secondo voi un Modric non giocherebbe bene se passasse da un allenatore come Ancelotti ad uno come Guardiola o viceversa?! Modric, come tutti i veri calciatori, sa come muoversi in campo. E' lui a dettare il gioco, non il gioco a dettare lui.
Non sto affermando, sia chiaro, che nel calcio non contino gli schemi di gioco (altrimenti non esisterebbe la figura dell'allenatore) voglio solo dire che un calciatore, come un grande attore, per usare questa volta una metafora cinematografica, deve essere capace di recitare bene con più registi, non solo con alcuni. Non è vero, insomma, che Garcia non abbia né schemi tattici né una filosofia di gioco, il problema è che abbiamo giocatori buoni ma non grandi, che sanno interpretare solo delle tattiche altamente predefinite, in cui lo spazio delle scelte individuali è ridotto al minimo indispensabile.

Alla prossima ...sta arrivando il treno!

Giuseppe Albano

28 settembre 2023

LE DIFFERENZE FONDAMENTALI TRA IL GIOCO DI GARCIA E QUELLO DI SPALLETTI

Differenze tra il gioco di Garcia e quello di Spalletti

L'ultima moda dei tifosi neomelodici è quella di attribuire solo a Garcia i pareggi, le sconfitte e le cattive prestazioni del Napoli e di dare invece soltanto a Spalletti i meriti delle vittorie e delle grandi performance. Gira e rigira, dunque, Garcia lo prendo sempre in quel posto! Praticamente il francese sarebbe lo scemo del villaggio, altro che quello che vi mette la chiesa al centro!
Ovviamente, alla luce di quanto appena detto, la vittoria convincente contro l'Udinese sarebbe merito del fantasma di Spalletti che, ogni tanto, complice l'inattività della nazionale, farebbe la sua comparsa al "Maradona".
Questi neomelodici ignoranti (i due termini vanno considerati all'unisono) attribuirono così al Garcia in carne ed ossa la prestazione di Bologna perché l'avevano ritenuta scadente. Nella loro proverbiale ignoranza, questi tifosi neomelodici non si erano accorti (valutando unicamente il risultato) che a Bologna il Napoli aveva giocato alla grande, e così furono inconsapevolmente indotti a dare giustamente al francese tutti i meriti di quella notevole performance. Se questi imbecilli fossero stati capaci di comprendere l'elevata qualità tattica e gestionale della partita contro il Bologna, l'avrebbero certamente attribuita al fantasma spallettiano. Tuttavia gli imbecilli non sono in grado di capire una "elevata qualità tattica" all'interno di un pareggio, e così non avrebbero mai potuto dare i meriti di quella prestazione ai loro fantasmi. Questo è il destino degli imbecilli, ovvero quello non solo di non capire nulla di calcio e di tutto il resto ma di attribuire, proprio perché non capiscono, meriti ed onori a capocchia, senza alcun criterio analitico.
Chiarito ciò, voglio spiegare perché sia da sciocchi pensare che, contro l'Udinese, il Garcia in carne ed ossa abbia fatto il copia-incolla del fantasma Spalletti. Il copia-incolla è tipico semmai proprio di questi imbecilli social (Umberto Eco), così come è tipico degli imbecilli, social e non, il fatto di non capire un cazzo.
Al netto di qualche variazione che in effetti c'è stata, come quella di ritornare alla difesa a zona sui calci d'angolo, nella partita contro l'Udinese le differenze tra la tattica di Garcia e quella di Spalletti è emersa in tutta la sua chiarezza. Il problema, però, è che per vedere chiaro nel calcio occorrono non solo buoni occhi ma anche buoni cervelli. Il problema ovviamente sta tutto nella seconda che ho detto.
Pe farla breve, e facendomi aiutare da due lavagnette virtuali che io stesso ho ideato, la differenza fondamentale (emersa anche contro l'Udinese) tra il gioco di Garcia e quello di Spalletti è che il toscano fa in modo che i sui calciatori tendano ad accentrarsi, terzini compresi, come se ci fosse un'attrazione gravitazionale verso il centro della trequarti avversaria, creando così una densità che permette di accorciare lo spazio (il campo di gioco) e tenere molti uomini sopra la linea della palla (aeh! ..."centro gravitazionale" e "densità": sto pensando al cervello dei neomelodici!), il francese, invece, vuole che i suoi calciatori si allontanino da quel centro del campo, come se lì ci fosse una spinta centrifuga, allungando gli spazi tra i reparti, creando così i presupposti per una accelerazione del gioco, inducendo inoltre gran parte della squadra a stare sotto la linea del pallone in fase di non possesso.

Tattica di Spalletti

Tattica di Garcia

Detto in maniera aforistica: Spalleti ama il gioco ad alta densità, Garcia ama il gioco ad alta velocità. Spalletti cerca di stringere gli spazi, Garcia cerca di allungarli. Questa seconda cosa è la conseguenza della prima.

Giuseppe Albano

25 settembre 2023

HA RAGIONE ZAZZARONI, NON È AMMISSIBILE UNA STAMPA SOCIAL

Ivan Zazzaroni
, pochi giorni fa, durante la sua partecipazione alla nuova trasmissione di Maurizio Biscardi, ha avuto il coraggio di sollevare la questione dell'ormai insostenibile appiattimento della stampa sportiva sul mondo social. Il direttore del Corriere dello Sport ha praticamente detto che non è deontologicamente accettabile che un giornalista invece di sforzarsi di essere autonomamente analitico nella valutazione degli eventi calcistici si faccia influenzare dall'istintualità della marea social, cercando di assecondarne le ridicole dinamiche allo scopo di cavalcare l'onda mediatica. Un giornalista non deve seguire un gregge, semmai deve orientarlo nella giusta direzione. In sostanza, Zazzaroni ha accusato i giornalisti di non fare i giornalisti.
Un esempio emblematico del problema posto in discussione da Zazzaroni, è stato, solo pochi giorni dopo il suo allarme, il modo assurdo e non analitico con cui è stata valutata la prestazione del Napoli a Bologna, dove agli azzurri è mancato solo il gol per suffragare col risultato una notevole prestazione. Sulla scia di farneticanti giudizi social che una volta si sarebbe detto da bar, frutto di una visione votata esclusivamente al risultato, una folla di questi giornalisti socializzatisi ha affermato l'esatto opposto di quanto visto, ovvero che il Napoli avrebbe fatto una partita scialba e non dissimile da quelle precedenti.
Il problema più grave è che questi sedicenti giornalisti si lasciano influenzare da quei farneticanti giudizi social non per un semplice tornaconto audience ma perché ormai, abituatisi da anni ad un tale appiattimento, hanno finito per perdere sul serio ogni capacità analitica, adattando le loro valutazioni (che valutazioni in realtà non sono) al solo risultato. In sostanza, il loro giudizio su una prestazione è buono se la squadra ha vinto, non buono se ha perso, così e così se ha pareggiato. Un un tipo di valutazione che si potrebbe ironicamente definire da tripla! Praticamente accade che i giornalisti seguono le cretinaggini dei tifosi social e questi, a loro volta, ripetono quello che ascoltano dai giornalisti. E così il circolo vizioso è compiuto.
Questa magra realtà giornalistica vale purtroppo non solo per il cosiddetto giornalista-tifoso, figura professionale a mio parere aberrante, ma anche per quei giornalisti che solo formalmente si atteggiano ancora a vecchi guerrieri della stampa di una volta, ma che in realtà si comportano anche loro come i peggiori tifosi da bar, ondivagando da un determinato giudizio al suo esatto opposto, facendosi guidare sempre e solo dall'umore indotto dal risultato di una partita.
Questo atteggiamento, gravemente antiprofessionale e deontologicamente immorale, è altamente diseducativo per una massa di tifosi già cretina di suo. In parole povere, questi giornalisti invece di migliorare le capacità cognitive e percettive di persone che sembrano appartenere ad un gregge che si muove all'unisono secondo la direzione del vento, le fanno ulteriormente rincretinire, assecondandone il comportamento, anzi entrando addirittura a farne parte. I cretini così, parafrasando Totò, passano a due!
Nulla di più di questo è la stampa sportiva italiana di oggi. Una situazione davvero raccapricciante per chi, come me, ritiene che il giornalismo rappresenti l'immagine del livello del mondo in cui si vive.
Venendo allo specifico della partita, il Napoli ha dominato contro il Bologna in lungo e in largo, su un campo dove gli avversari sono abitualmente costretti a subire tante azioni gol ed il gioco spumeggiante proposto da Thiago Motta. Inconcepibili le accuse mosse contro l'allenatore francese dopo il pareggio. Assurdo che quasi tutti questi analisti non si siano accorti delle giuste misure adottate da Garcia allo scopo di annichilire tatticamente una squadra molto forte come il Bologna, compresa la scelta di adattare Raspadori sulla fascia destra. A centrocampo non c'è stata storia, con Lobotka, Anguissa e Zielinsky dominatori assoluti. Raspadori poi, in un ruolo certamente non suo, ha fatto un grande primo tempo. Grazie alla sua intelligenza tattica, infatti, assolutamente incompresa da una stampa che non ha purtroppo la sua stessa intelligenza, Raspadori ha cucito il gioco alla perfezione, permettendo al Napoli di avere una notevole quadratura a centrocampo. Temo che il destino di Raspadori sia simile a quello di Hamsik, almeno fino a quando rimarrà in Italia.
Al Napoli è, dunque, mancato solo il gol, ovvero quel singolo evento fortuito (vedi il rigore sbagliato) dal quale una stampa analiticamente indecorosa ha fatto dipendere la sua intera analisi, che analisi non è.

Giuseppe Albano

22 settembre 2023

GUARDIOLA E COMPAGNI NON SONO "MAESTRI DI CALCIO", SONO "MAESTRI DEL PROPRIO CALCIO"




In questo articolo mi propongo due cose: la prima è di dimostrare che gli allenatori del cosiddetto "calcio totale", o giochisti, per usare una denominazione corrente, non sono affatto quei "maestri di calcio", come quasi unanimemente vengono considerati, ma, al contrario, essi ne rappresentano l'antitesi; la seconda è quella di spiegare come mai quel "tipo di calcio totale" - ed i suoi profeti come Guardiola, De Zerbi, Sarri e via dicendo - venga considerato come l'unico autentico calcio in circolazione, in contrapposizione a tutti gli altri modi di giocare che vengono sommariamente definiti, e non a caso, l'anticalcio.

Quei miei due propositi li svilupperò all'unisono, essendo entrambi figli di un unico equivoco di fondo. Introduco il mio ragionamento, a mo' di overture, con una raffica di domande retoriche che già di per sé sarebbero sufficienti come argomentazione.

Non è che questi cosiddetti "addestratori" abituino i loro calciatori ad essere accompagnati per mano in campo, rendendoli mentalmente come dei bambini incapaci di cavarsela da soli ogniqualvolta se ne presenta la necessità, al punto da dare l'impressione di essere come smarriti al primo cambiamento tattico?! Se questo addestramento fosse davvero valido, i giocatori non se lo ricorderebbero?! Come mai, invece, appaiono come degli uomini senza conoscenze quando vanno in mano ad altri?! Vuoi vedere che questi "addestratori" in realtà sono piuttosto dei domatori, degli incantatori che impongono il proprio credo calcistico ai giocatori piuttosto che insegnare loro il calcio in assoluto, con la conseguenza che fuori da quel contesto essi diventano degli autentici sprovveduti?! Non è che ciò che tali maestri insegnano è solo una specifica trama in cui tutto ruota e viene recitato alla perfezione fintanto che si rimane, appunto, quella specifica trama?! È davvero lecito, dunque, parlare in questo caso di "addestramento" o piuttosto bisognerebbe usare il termine "addomesticamento"?! In sostanza, non è che questi "maestri di calcio" siano dei domatori piuttosto che degli addestratori?! Non è che un allenatore come Allegri, tanto vituperato, in fin dei conti insegni ai calciatori come affrontare individualmente tutte le possibili situazioni in campo mettendoli così nelle condizioni di percepire le varie dinamiche di gioco nella loro totalità?!

Dopo queste domande, di per sé già indicative, passo subito alle risposte, ovvero all'argomentazione vera e propria.

L'equivoco su questi maestri di calcio votati al guardiolismo, come sommariamente oggi viene indicato il loro credo tattico, consiste, come già accennato in una di quelle mie domande, nel fatto di confondere un calcio particolare, come quello di Guardiola, con il calcio nella sua totalità. Non a caso si parla del calcio di Guardiola e del mondo che gli ruota intorno come idealizzazione del "calcio totale". In sostanza, senza che ci si accorga di nulla, viene completamente ribaltato lo stato delle cose. Le ragioni psicologiche che sono alla base di questo grottesco capovolgimento della realtà, che induce a credere che il "guardiolismo" rappresenti l'unico vero calcio in contrapposizione ad un presunto anticalcio, le spiegherò in un mio successivo articolo. Per il momento mi limito alla confusione terminologica.

Noi sappiamo che ai calciatori che sono agli ordini di questi giochisti vengono insegnati specifici movimenti affinché, attraverso questi, essi possano esprimere sul campo una determinata trama di gioco finalizzata, come è ovvio, alla realizzazione di reti. Questa trama di gioco, volendola definire sommariamente, consiste in reparti molto compatti ed interscambiabili, pressing alto, possesso palla, immediato recupero del pallone e presenza pressoché costante (come conseguenza delle prime dinamiche) nella trequarti campo avversaria. Fin qui nulla da eccepire. Si tratta certamente di un tipo di gioco, anche bello a vedersi, come tutto ciò che si dipana armonicamente e secondo una certa coralità, alla stregua di quei disegni tracciati dai ballerini durante le cerimonie d'apertura di mondiali, olimpiadi e quant'altro. L'equivoco, però, si cela proprio in quella armonia prestabilita. Quella totalità armonica, in cui questo calcio si manifesta, dove ogni particolare (ovvero ogni calciatore e relativo movimento) obbedisce ad un tutto che sembra divenire quasi autonomamente, viene confusa con il "calcio nella sua totalità". In sostanza la confusione consiste nel prendere quella specifica totalità, in cui si dipana lo specifico calcio espresso dalle squadre di questi giochisti, con la "totalità del calcio". Un equivoco davvero paradossale, oserei dire un "equivoco hegeliano", per chi ha familiarità con la filosofia.

Quel cosiddetto "calcio totale" è tale per la totalità delle sue dinamiche e non perché rappresenti il "calcio nella sua totalità". Anzi, non c'è nulla di più particolare di quel calcio, tanto particolare che necessita di un addestramento specifico e continuo, quasi ossessivo. Quello che, dunque, questi millantati maestri di calcio insegnano ai loro calciatori non è il calcio in quanto tale - ovvero nella sua totalità - ma il proprio calcio particolare, che prevede particolari e specifici movimenti. Questi allenatori sono come quei pessimi registi cinematografici che non insegnano ai giovani attori a recitare in assoluto ma a recitare solo la propria sceneggiatura e non oltre. Questi sedicenti maestri di calcio, insomma, insegnano il proprio modulo di calcio, non il "calcio". Questi allenatori rovesciano i crismi di ogni sano insegnamento. Il loro non è, infatti, un insegnare all'individuo gli "strumenti del calcio" da utilizzare in tutte le occasioni che si possono presentare, ma è, al contrario, un utilizzare l'individuo come strumento per il proprio modulo di gioco. Per tale ragione, questi allenatori sono tutt'altro che dei maestri di calcio, essi sono dei vanagloriosi maestri di se stessi; vogliono che i calciatori imparino a memoria il loro credo, non il "credo calcistico in quanto tale", non il "calcio in assoluto". Non è un caso che, al di fuori di quel contesto preparato da questi falsi profeti, i loro calciatori spesso appaiano spaesati. Essi, infatti, non hanno ricevuto un insegnamento individuale su come giocare a calcio in varie situazioni (il vero insegnamento) ma sono stati ammaestrati unicamente a svolgere quel determinato tipo di trama calcistica. Altro che insegnamento da calcio totale, dunque, questi calciatori hanno avuto un insegnamento fin troppo particolare! Essi diventano come dei pesci (e lo dico alla napoletana): fuori da quell'acqua profetica sono persi!

E voglio rimanere proprio nella nostra Napoli facendovi notare come siano in difficoltà oggi i nostri difensori solo perché Garcia ha chiesto loro di difendere "a uomo" dopo essere stati abituati solo a muoversi sincronicamente da Spalletti nel suo gioco "totalizzante". Pensate, dei difensori sono in difficoltà perché gli è stato chiesto di difendere! Praticamente un ossimoro! Questa è una lampante dimostrazione di come quei giochisti insegnino ai calciatori non "il calcio", ma il proprio calcio. Un allenatore vecchio stampo, come Trapattoni, insegnava ai suo difensori a difendere in tutte le situazioni immaginabili; questo spiega perché essi siano stati dei campioni, e perché lo siano stati ovunque.

Dopo Sarri i calciatori del Napoli apparivano spaesati, nonostante ci fosse in panchina uno come Ancelotti. Dopo Spalletti, i calciatori oggi pure appaiono spaesati nonostante abbiamo un allenatore esperto come Garcia. Se ad un calciatore come Koulibaly fosse stato insegnato a difendere in assoluto, e non solo a difendere relativamente ad un determinato contesto (come fatto da Sarri) forse avremmo avuto un altro Chiellini.

E non è un caso che oggi le partite finiscano con caterve di gol e un attaccante per essere considerato "buono" ne debba fare una trentina all'anno a fronte di quella quindicina di decenni fa. E deve essere invece visto come un caso di cultura il fatto che un maestro (vero) come Gianni Brera affermasse che la partita perfetta consiste in uno zero a zero senza palle gol mentre oggi, invece, almeno da un 5 a 5, dove peraltro ci si è mangiato parecchie reti.


Giuseppe Albano

19 settembre 2023

RUDI GARCIA UMILIATO DAI FONDAMENTALISTI DEL GUARDIOLISMO E DEL RISULTATISMO

Rudi Garcia è un uomo vittima di una vera e propria umiliazione che va avanti da circa due settimane. Una umiliazione che viene però da molto più lontano, che premeva forte per uscire dai cuori dei giornalisti sin dal giorno dell'annuncio del francese col rituale tweett presidenziale. La verità è che Garcia, proprio come era accaduto con Spalletti (ma qui la memoria, come al solito, diventa corta) fu accolto con il sospetto e la paura che fosse arrivato un autentico incapace, tanto è vero che la prima cosa che gli si raccomandò fu quella di non fare nulla, di non muovere niente rispetto a ciò che aveva trovato. Non c'è che dire, proprio una accoglienza carica di aspettative! Mi permetto di supporre che una tale raccomandazione non ci si sarebbe neanche sognato di farla ad un allenatore come Klopp.
Questa cattiva considerazione, anzi questa mancanza di considerazione per Garcia, si è tramutata inevitabilmente in umiliazione ai primi risultati negativi. E si tratta di una umiliazione senza via di scampo perché arriva dai due fronti opposti del campo di battaglia opinionistico.
Garcia si trova infatti in una morsa inquisitoria dove, da un lato, ci sono i fondamentalisti guardioliani, che nulla ammettono al di fuori del loro unico dio - il gioco corto e totale - e, dall'altro, i fondamentalisti del risultatismo, per i quali, invece, tutto è lecito nel calcio, purché porti alla vittoria. E siccome Garcia per propria costituzione, considerata la sua filosofia calcistica, non può in alcun modo soddisfare i primi, e, per il momento, visti gli ultimi risultati, non è riuscito neanche a soddisfare i secondi, ecco che il nostro malcapitato è bello e sistemato.
Il termine "umiliazione" da me utilizzato non è affatto esagerato, anzi forse è sin troppo leggero rispetto alla lapidazione mediatica che si sta infliggendo a Garcia, mentre gli si urla di non essere capace di fare l'unica cosa per cui sarebbe stato ingaggiato, ovvero quella di non fare nulla! Sì, perché le due chiese che stanno mettendo in croce Garcia (chiese che per l'occasione si sono misticamente unite, quando solitamente si combattono) non gli riconoscono praticamente neanche un minimo di competenza in ambito calcistico, finanche relativamente ai principi basilari di questo gioco. L'unica cosa che ci si sforza di riconoscere a Garcia è una non meglio definita "empatia con il gruppo", riconoscimento che alcuni giornalisti usano come zuccherino da offrire al francese dopo la profonda amarezza procuratagli per avergli tolto ogni stima.
Seguendo queste trasmissioni, sembra che tutti sappiano tutto del Calcio a parte proprio colui che ne dovrebbe, per statuto, saperne di più, o quanto meno saperne qualcosa: ovvero il povero Garcia. Giornalisti, ex calciatori, allenatori che non hanno fatto un centesimo della carriera del francese, direttori sportivi falliti, docenti universitari, scrittori, matematici, chirurghi, e chi più ne ha più ne metta. Sembra che tutti sappiano come si dovrebbe far giocare il Napoli a parte colui che ne è deputato. Praticamente il nostro attuale allenatore non saprebbe fare nulla e non capirebbe nulla. E secondo questi sapientoni di mariniana memoria la cosa che Garcia non riuscirebbe a capire più di ogni altra sarebbe, udite udite, il fatto di doversi unicamente limitare a mandare avanti un meccanismo che sarebbe lì già pronto al semplice uso, senza metterci né mano né testa, alla stregua di un operaio. A tal proposito, ho sentito usare, evidentemente non a caso, proprio il termine manutenzione. Non c'è cosa che, secondo questi sedicenti esperti, Garcia possa fare mettendoci del suo. Questo laico è privo di fare un solo passo che si allontani da quella sacralità in cui è immerso che immediatamente gli si imputa il reato di aver voluto interpretare a suo modo alcuni passi delle sacre scritture spallettiane, che si tratti della difesa "a uomo" sui calci d'angolo o dell'utilizzo di un trequartista che metta a repentaglio il verbo del 4-3-3 o di altro ancora. Questo povero cristo praticamente non si può muovere, che viene inviato al braccio secolare calcistico, reo di grave offesa verso rituali consolidati. È come se Garcia fosse arrivato in una sorta di cristalleria piena zeppa di pezzi pregiatissimi e dagli spazi angusti, dove anche un colpo di tosse può causare una catastrofe. "Garcia non deve fare nulla" - questa la summa del pensiero critico della stampa napoletana -. Mi chiedo cosa sia venuto a fare questo moderno angioino nella borbonica Napoli di oggi se deve quasi nascondere tutto di sé, persino il proprio nome.
Si accusa Garcia persino di essere incapace di capire di non essere capace. Lo si accusa di non abbracciare il verbo calcistico e di millantare invece un proprio credo tattico. Praticamente viene visto come un eretico. Lo si accusa, insomma, di non saper rinunciare a se stesso, al proprio "io", al suo essere Rudi Garcia. E pensare che, tra questi suoi detrattori, quelli guardioliani trovano del tutto normale una cosa del genere, e questo perché essi al francese non riconoscono neanche una filosofia di gioco, essendo la sua contraria a quell'unica filosofia che possa esistere per davvero secondo questi sacerdoti, adepti di un fondamentalismo così radicato nelle loro teste idealizzate che farebbe invidia persino ai più fondamentalisti del fondamentalismo islamico.
Se questo che avete finora letto non dovesse essere sufficiente per voi perché si possa parlare di umiliazione, ditemi allora quale potrebbe essere un ulteriore trattamento da riservare a Garcia capace di farvi cambiare idea in proposito. Forse la fucilazione?! No, meglio non evocarla neanche con ironia perché qualcuno, in questo clima da fondamentalismo, potrebbe prendervi sul serio.
Si accusa Rudi Garcia di qualsivoglia mancanza di conoscenza calcistica, dalle catene laterali alle diagonali, dalla circolazione del pallone al movimento dei calciatori, dalla distanza tra i reparti allo scalare dei protagonisti, dai meccanismi difensivi alle sostituzioni. Ci manca solo che accusino Garcia di non sapere che il pallone di Calcio è sferico e non ovale. Eppure, una così grande umiliazione a questi inquisitori non basta; vogliono una confessione totale. Essi vogliono che quella loro umiliazione sia capace di uno scorticamento professionale che arrivi fino al midollo. E allora si cimentano nel criticare Garcia finanche sulla preparazione precampionato, accusandolo di aver fatto svolgere alla squadra una "preparazione antiquata", contraria ad ogni credo contemporaneo. L'unica cosa certa che noi oggi sappiamo sul Napoli attuale, e che paradossalmente andrebbe vista a favore e a giustificazione di Garcia, non viene nemmeno citata. Mi riferisco al fatto che mentre Spalletti trovò calciatori affamati, Garcia li ha trovati sazi. Questa cosa quantomeno plausibile non la si ricorda minimamente pur di portare avanti quella propria convinzione contro il francese. 
Niente, dunque, proprio niente! Garcia non sa fare nulla! Questo allenatore è scarso nella sua totalità ed assolutezza. Oserei dire, dunque, di una scarsezza metafisica! In parole povere per questi sapientoni Garcia è scarso da ogni angolazione lo si guardi: tattica, psicologica, fisica, storica, matematica, geometrica, filosofica ecc. ecc. Praticamente un "non allenatore" più che un allenatore scarso.
La santa umiliazione di Rudi Garcia perpetrata da questi sacerdoti del guardiolismo e del risultatismo, raggiunge però il suo apice religioso quando gli consigliano, come ho già detto, di non metterci nulla di suo in questo Napoli. La frase, diventata ormai consuetudine, che esce come un libro stampato da questi cervelli tipografici, è sempre quella (e che ormai si sono dovuti stampare in testa anche i sapienti come me): "Garcia ha ereditato un meccanismo perfetto, quello spallettiano, che lui deve limitarsi a far scorrere, senza toccare nulla."
Usciamo dalla metafora religiosa e ritorniamo alla realtà più terra terra a cui entrambi questi due schieramenti appartengono. Secondo questi esperti di Calcio e di Psicologia, dunque, Garcia sarebbe venuto qui a fare praticamente da spettatore o al massimo da imitatore. Garcia dovrebbe fare finta di non essere Garcia e di vedere, guardandosi allo specchio, la sagoma di Spalletti, capelli compresi, o meglio non compresi. E hai voglia a spiegarglielo a questi sapientoni che è contro ogni elementare legge psicologica pretendere che un uomo non interpreti se stesso ma un altro. Gliel'ho spiegato in tutte le salse possibili e ripetutamente. La verità è che i sapientoni hanno come pallino quello di seguire solo le proprie idee, alle quali non rinunciano neanche di fronte all'evidenza.
Per concludere in bellezza, ora io mi chiedo e vi chiedo quale seria e sostanziale differenza vi sia tra il parlare e scrivere tipico di quei tanti popolani social che, obbedendo a quel solito meccanismo riflesso, se ne escono, alle prime difficoltà, con l'ormai rituale hashtag "out", e il parlare di questi sapientoni nei loro salotti televisivi e redazionali. L'unica differenza che io vedo consiste nel fatto che il parlare dei popolani social è formalmente da trogloditi e quello dei sapientoni formalmente forbito, arricchito da qualche latinismo, citazione letteraria o storica, nonché dalla solita statistica usata esclusivamente per appoggiare le proprie idee. Al posto di un semplice - "Strunz, vattene!" - vi è un - "Garcia, come Ancelotti, non sa allenare una squadra, sa al massimo solo tenere assieme dei campioni." - Onestamente, voi, oltre la forma delle parole, vedete una reale differenza?! Io, no di certo. Anzi, a voler essere pignoli, in un semplice "strunz" si può anche leggere solo una rabbia momentanea, mentre in un "Garcia non ha conoscenze calcistiche, oltre il semplice schierare la squadra" vi è qualcosa di ben più offensivo, perché si va a ledere il valore più intimo di un professionista. Insomma, in entrambi gli atteggiamenti (social-popolano e da salotto calcistico) c'è quella solita ed insana abitudine di buttare subito tutto nel cesso alle prime difficoltà. La cosa però è davvero grave quando questa insana abitudine si insinua negli analisti.


Di quel fondamentalismo guardiolano e dei loro sacerdoti mi occuperò nel prossimo articolo. E, credetemi, contro di loro mi eserciterò anche io, per ripicca, nella pratica della umiliazione, con la differenza che la mia sarà una umiliazione fondata su basi argomentative solidamente laiche e non farloccamente religiose, come quelle usate da questi sacerdoti nei confronti di Garcia.

Giuseppe Abano

17 settembre 2023

IL GARCIA AMLETICO: "ESSERE O NON ESSERE SPALLETTI, QUESTO È IL DILEMMA" ...


"... Se sia più nobile all'animo sopportare ed assecondare chi vuole che io non sia più me stesso, o prendere le armi contro costoro e impavido scegliere la mia strada, il 4-2-3-1!"

Amleto riportò all'equilibrio tutto il regno di Danimarca sacrificando la propria vita. Per riportare il regno di Napoli alla normalità non occorre che Garcia arrivi a tanto, deve solo riuscire a convincere se stesso che non c'è altra strada, nel Calcio come altrove, di quella segnata dalla propria personalità. Purtroppo l'ambiente vuole a forza che egli percorra sentieri a lui estranei. Eppure, si sa, tutte le strade portano a Roma. Il problema non sta in quale di quelle strade si sceglie ma nella caparbietà e nella decisione con cui la si percorre.

Garcia deve avere la caparbietà e l'orgoglio di affrontare la sua strada tappandosi le orecchie, come fece Ulisse nel suo viaggio di ritorno ad Itaca, per non ascoltare l'ammaliante canto delle sirene giornalistiche ed opinionistiche. Questo canto cittadino portò persino un grande navigatore come Ancelotti a sbattere contro gli scogli di Mergellina. Il nostro Amleto deve essere intrepido, veleggiando al largo, dove il Mare è sì più profondo ed incerto ma dove un marinaio può segnare più fortemente il proprio destino. "Uomini forti per destini forti!", esclamava Spalletti. Ecco, questa è l'unica cosa che, del suo predecessore, Garcia deve prendere in prestito.

La ciurma non segue ancora il proprio capitano. E perché mai seguire chi ancora mostra di non conoscere la via da percorrere?! I giocatori sbandano, con passo incerto, tra il vecchio sentiero e quello nuovo. È la via più breve quella che si deve seguire, come ci suggerisce la Geometria, ed è anche la meno dispendiosa, come ci insegna la Natura. Se i calciatori vedranno un capitano coraggioso nel perseguire il proprio destino (il proprio gioco), allora lo ameranno, mostrando anch'essi un pari coraggio. Se così non sarà, la nave affonderà sotto i colpi di nuovi ammutinamenti.

Caro nostro Amleto, è  giunto il momento della scelta. È il momento più sacro per un individuo. È il momento di scegliere tra ciò che si è e ciò che non si è. E per quanto la cosa possa apparire strana, nella vita è proprio questa la scelta più difficile.

Giuseppe Albano

13 settembre 2023

NAPOLI COME LA CHICAGO DI AL CAPONE - È LA CAPITALE DI MAZZETTOPOLI


Mi è facile dimostrare quanto avete letto nel titolo, e su questa mia presunta capacità dimostrativa in merito all'argomento in questione sareste pronti a darmi credito anche senza appurarla, considerata la reputazione che ha la città di Napoli anche presso la vostra mente. Ma se io vi dicessi che quel giro di mazzette coinvolge, proprio come avveniva nella Chicago di Al Capone, cosa che la cinematografia di alto livello ha messo più volte in risalto, non solo funzionari statali di piccolo calibro, come nel caso di esponenti dei Vigili Urbani, oppure di quegli abituali furbetti appartenenti alla Guardia di Finanza, prodighi nel chiudere un occhio, ed il più delle volte entrambi, oppure di quei rituali cani sciolti della Polizia e dell'Arma dei Carabinieri, ma persino giudici, capirete che la cosa diventa notevolmente difficile da dimostrare e molto grave nel caso la dimostrazione andasse in porto.

Per quanto il mio lavoro dialettico in questa dimostrazione possa apparirvi molto arduo, tanto da indurvi peraltro a pensare che esso richiederebbe delle autentiche prove piuttosto che una semplice abilità nel ragionare, vi posso garantire che nel caso di specie, come vedrete, occorre solo un po' di perspicacia nell'osservare gli eventi che si svolgono sotto i nostri occhi. E proprio per questo motivo le mie prove saranno indirette, sebbene ugualmente inconfutabili. Partirò da una realtà molto semplice, a cui ovviamente corrisponde la corruzione dei funzionari statali di gradino più basso, fino ad arrivare ad un caso molto grave, nel quale conseguentemente sarà coinvolto il più alto gradino nella scala dei difensori della legalità. Come avete visto, mi sono espresso al singolare, poiché mi basteranno solo tre singoli esempi allo scopo di rendere inoppugnabile non solo l'idea che a Napoli, come peraltro in qualunque altra metropoli, girino mazzette di danaro, ma anche quanto questo stesso giro non rappresenti un insieme di casi giustapposti, ma un autentico sistema di corruzione che la criminalità, complice quella nostrana sottocultura fatta di scarsa percezione della sacralità della Legge, ha saputo diffondere ovunque, trovando terreno fertile proprio in quelle strutture statali che dovrebbero prevenirne gli atti corruttivi.

Comincio, dunque, col più elementare degli esempi, che ha già bella ed incorporata in sé la prova della complicità dei cittadini (figlia di quella sottocultura di cui sopra) e, cosa ben peggiore, della complicità di quei funzionari statali dediti al controllo più elementare che ci sia, quello delle strade; una complicità però non solo fatta di sottocultura ma arricchita col danaro. Mi riferisco al fenomeno, misteriosamente mai risolto, dei parcheggiatori abusivi. Penso di non sbagliarmi se affermo che i parcheggi abusivi si trovano nelle strade e nelle piazze, e mi permetto altresì l'ardire di affermare che le strade e le piazze napoletane (come quelle di spaccio a Caivano) non siano presenti sotto la superficie terrestre in prossimità del centro della terra, dove occorrerebbero degli eroi come quelli immaginati da Jules Verne per scovarli. Ora io mi chiedo - cosa che certamente vi sarete chiesta voi stessi tante volte - come sia possibile che in una metropoli, per giunta neanche troppo grande, dove le piazze e le vie per parcheggiare sono dunque abbastanza contate, non si si riesca ad eliminare un problema che richiederebbe quel semplicissimo e previsto pattugliamento spettante a vigili urbani, poliziotti e così via. È del tutto evidente che questi parcheggiatori abusivi, un po' come le prostitute, facciano parte del gradino più basso di quella lunga scalinata che si chiama camorra. Ed è altrettanto evidente che, ove ci sia la camorra, girano tanti soldi, e che ovunque girino tanti soldi girano mazzette affinché quei soldi (mazzette comprese) possano continuare a girare liberamente. Pensate che, pochi giorni fa, alcuni parcheggiatori abusivi si sono permessi di sequestrare (avete letto bene, proprio sequestrare) un malcapitato che non voleva (e ci mancherebbe) pagare i parcheggiatori aguzzini. Durante il sequestro lampo, questi loschi individui hanno chiesto come riscatto per liberare l'automobilista (avete letto bene persino questa volta: riscatto per liberarlo) la modica cifra di 60 euro. Devo proprio darvi la soluzione a quel mistero che vede le istituzioni locali non riuscire ad eliminare un fenomeno che richiederebbe solo il più cretino dei pattugliamenti, considerato che, se non proprio le sagome dei parcheggiatori, che a Mergellina ad esempio potrebbero nascondersi dietro gli scogli, almeno quelle delle auto da loro custodite sono ben visibili?! Vi devo forse dare una mano, nella vostra soluzione a tale problema, dicendovi che i parcheggiatori abusivi pagano tangenti di centinaia di euro perché possano espletare il loro invisibile lavoro?! E dopo questa aggiunta vi devo forse dare un'ulteriore mano anche a capire come mai questi parcheggiatori, insieme alle loro auto, abbiano il dono della invisibilità?! - E non si può che ipotizzare un tale dono, visto che essi agiscono e si trovano alla luce del Sole, della Luna, delle stelle e dei lampioni! Vi devo proprio indicare quale sia quella pozione magica che li rende invisibili?! Come vedete, a mo' di Platone - che in un suo famoso dialogo, allo scopo di illustrare come ciascun uomo possa arrivare da solo a ricordare conoscenze che gli sono connaturate, interroga uno schiavo ignorante in geometria fino ad indurlo a dimostrare da solo teoremi difficili - io vi ho portato così bene sulla giusta via che neanche ve l'ho voluta mostrare.

Passiamo ad un secondo caso, che potremmo definire intermedio, come intermedi sono i gradini di quella scala statale a cui appartengono coloro che sono abilitati ad affrontarlo: mi riferisco al caso delle piazze di spaccio. Anche qui, come vedete, non c'entra la misteriosa e buia Napoli sotterranea, ma sempre e solo la soleggiata città che affaccia sull'azzurro mare. Ebbene, se io chiedessi ad uno qualunque di quegli iconici bambini napoletani già svezzati alla vita, dove si trovino delle belle piazze di spaccio all'interno del suo quartiere, egli - ovviamente dopo una buona mazzetta (pardon, volevo dire buona mancia) - mi condurrebbe bellamente per mano ad una di quelle piazze, e finanche davanti al suo parcheggiatore (ovviamente abusivo), con la stessa scaltrezza con cui il tassista di una famosa barzelletta di Gino Rivieccio, intento ad arrivare allo stadio, porta il comico direttamente negli spogliatoi del Napoli, visto che il parcheggiatore assomiglia a Bruscolotti. In sostanza, come avrete certamente capito, le piazze di spaccio a Napoli sono conosciutissime, con tanto di nome delle stesse presenti sulle rituali targhette, nonché munite dell'esatto numero civico corrispondente alle abitazioni dei boss dalle quali questi osservano, come facevano i signori feudali con i loro sudditi, come proficuamente procede il lavoro dei loro sottoposti. Ora oso chiedervi se io possa azzardare, senza essere accusato di superficialità e faciloneria, che, come quelle piazze di spaccio le conoscono i bambini, come le conoscono i semplici cittadini, come le conoscono i giornalisti delle tv regionali, che ce le indicano quasi ossessivamente sulle cartine cittadine, nelle fotografie e nelle riprese video, le conoscano anche la Polizia, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, e compagnia statale. E vi chiedo - se è vero come è vero che le forze dell'ordine non possano non conoscerle, se è vero come è vero che a Caivano è bastato un solo giorno perché le occupassero prima i cittadini stessi (che le conoscevano da anni) e poi le forze dell'ordine con un blitz (e tutto questo solo dopo la brutalità di cui sono state vittime due bambine, altrimenti oggi quelle piazze di spaccio svolgerebbero il loro ruolo abituale) - vi chiedo, dicevo, se io non possa tranquillamente arrivare alla prova, sebbene indiretta, che anche qui ci sia un giro di mazzette per i difensori della Legge, proprio come nel fenomeno del parcheggio abusivo, con la sola variante che in questo caso di danaro (trattandosi di droga) ne scorre molto di più e che le mazzette siano conseguentemente più adeguate al rango dei gradini statali coinvolti. È inutile che si cerchi di confutarmi; è inutile che ci si scandalizzi perché parliamo di forze dell'ordine! ...qui, a Napoli, si chiudono gli occhi a colpi di mazzette, mazzette a mitraglietta!

Veniamo al terzo caso. Qui la gravità è cosi alta e così lampante che mi potrò permettere di essere brevissimo, lì dove invece ci si sarebbe aspettato, parlando di giudici, ovvero del più alto gradino dei difensori della Legge, una lunghissima argomentazione. A Napoli (e provincia), sin da quando io ero un bambino, è abitudine che girino per strada camorristi condannati precedentemente per omicidio. Ora noi tutti sappiamo (anche quelli più ignoranti in materia) che l'omicidio premeditato richiede l'ergastolo. La premeditazione, infatti, viene considerata una aggravante della volontarietà, per la quale sono previsti circa 30 anni. Ora, siccome gli omicidi di camorra sono certamente premeditati, infatti essi vengono addirittura pianificati, come è possibile sentire spesso i giornalisti, dopo alcuni omicidi di camorra, informarci che i killer erano stati precedentemente condannati per omicidi, sempre di camorra?! E aggiungo che a volte questi killer appaiono persino giovani! Ci sono tanti casi che potrei elencare di omicidi di camorra (premeditati), alcuni dei quali peraltro hanno avuto come vittime donne e uomini perbene che avevano voluto difendere dalla criminalità se stessi o addirittura la salute dei propri bambini, che hanno portato a condanne inferiori a 30 anni di galera (in alcuni casi solo 15) e che, con i soliti benefici, sono state in pratica derubricate a quelle comminate per reati molto minori, come furti e truffe. Vi lascio proseguire da soli, se proprio vi divertite, nella ricostruzione di questo puzzle, solo più grande di quelli precedenti, ma del tutto simile.

Chiudo dicendo la cosa più importante e grave di tutte - questa sì di difficile definizione, tanto difficile che richiederebbe, per essere inquadrata con precisione, articoli ben più profondi di questo, e per la sua effettiva risoluzione interventi politico-socio-istituzionali di così ampio raggio rispetto ai quali quegli sporadici blitz sono ancor più inefficaci del mio articolo. Questa cosa grave consiste nel fatto che, come ho accennato all'inizio, la corruzione a Napoli è sistemica e non formata da un insieme disarticolato di atti corruttivi più o meno gravi, come accade ovunque. E questo perché, nel più piccolo di questi fenomeni (quello dei parcheggiatori abusivi) come nel più grande di essi (che vede coinvolti gli alti apparati della giustizia) vi è un'unica organizzazione che opera: la camorra. Questo fa sì che non vi sia una semplice giustapposizione di atti corruttivi, isolabili ed affrontabili singolarmente, ma una sistematicità corruttiva che pone in stretta relazione quei variegati elementi fuorilegge e devianti, fino a creare, come già si è detto tante volte in passato, una sorta di stato all'interno dello Stato, con tanto di popolazione, sistemi finanziari, soldati, complicità ecc. ecc. Ed il problema apparirà in tutta la sua reale (immensa) vastità se si pensa che un sistema di corruzione è circolare e non lineare. Come la differenza tra una linea ed un cerchio consiste nel fatto che mentre su una linea si può individuare un punto di partenza, su un cerchio può essere assunto come inizio uno qualunque dei suoi punti, così la differenza tra una normale corruzione ed una sistemica è che mentre la prima offre la possibilità di individuarne la fonte (l'inizio), la seconda si è strutturata in modo tale che ormai non si può più stabilire a priori se l'inizio sia nella criminalità organizzata o nello Stato che da quella si è fatta totalmente corrompere. Ogni punto può essere visto come l'inizio, la fonte del problema. Non si può più stabilire con certezza che da una parte c'è la Legge e dall'altra la corruzione, se non formalmente. E' il sistema in sé che è corrotto, e proprio per questo quando ci sono giudici che davvero vogliono combatterlo essi vengono visti come eroi dalla gente e come delle anomalie dallo Stato, che li elimina. Vai a sapere, per esempio, dopo la certificazione dei patti tra Stato e mafia, chi abbia ucciso davvero Falcone e Borsellino. E non a caso la risposta spesso è: "È stato il sistema!" Ed in questo caso non è la solita sciocca risposta complottistica. Vi sarete accorti che i politici li ho tenuti sullo sfondo, e questo non perché li abbia voluti salvare, ma per una forma di carità cristiana nei loro confronti, considerato il livello infimo dei politici locali e quel desolante quanto marginale ruolo di intermediazione che hanno in quel sistema. Una volta i politici napoletani erano in prima fila nella corruzione; a loro modo, dalla parte del male, erano dei giganti. Oggi vivacchiano nel mezzo, che è ben altra cosa di quel centro di democristiana memoria.

Giuseppe Albano

12 settembre 2023

IL NAPOLETANO È SPORCO E FETENTE. È UN VANDALO SENZA STORIA


Io sono uno di quei pochi napoletani che non si offende quando al Nord ci considerano sporchi e vandali. E non mi offendo per il semplice fatto che dicono la sacrosanta verità. È vero che ci sono napoletani che non sporcano e non vandalizzano direttamente la città ma è altrettanto vero che essi sono complici di quel vandalismo dal momento che mostrano un atteggiamento del tutto passivo nel vedere questi scenari, come di fronte a piazze devastate solo poco tempo dopo essere state abbellite, ammodernate o restaurate. Mi ricordo, in tal senso, quando a Piazza Gian Battista Vico eravamo (in pochi) emozionati per l'inaugurazione di quello che appariva un piccolo gioiello, con tanto di parco giochi per bambini ed angoli dedicati ai vecchi. Ebbene, recandomi lì dopo una sola settimana, trovai la piazza in una condizione tale che un individuo che si fosse trovato a passare di lì per la prima volta avrebbe pensato che non vi si fosse più messo mano da un secolo. La stessa cosa si può dire per le meravigliose metropolitane o per la Stazione Centrale (ovvero Piazza Garibaldi) ridotta ormai ad un accampamento di barbari. E tutto questo con la cosiddetta brava gente che, tirando (anch'essa) di tanto in tanto una carta di pizzetta lì e lasciando un barattolo di birra là, non si indigna affatto al cospetto di una tale desolazione, dando anzi il proprio contributo allo schifo che vede.

Io penso che tutte queste brave persone che passeggiano serenamente sul palcoscenico di una autentica devastazione civica, senza per nulla indignarsi, provengano da case sudicie e maleodoranti, altrimenti non si spiegherebbe quell'atteggiamento così passivo davanti a qualcosa che evidentemente sentono come familiare. Avete mai provato ad andare alla Posta Centrale a Piazza Matteotti?! Ebbene, quando mi recavo anni fa (spero nel frattempo le cose siano migliorate) non avevo mai la possibilità di conoscerne il pavimento, dal momento che esso era del tutto coperto da una marea di carte (soprattutto i numeri per la prenotazione). E pensare che un edificio come quello rappresenta, come la Stazione Centrale, uno dei biglietti da visita della nostra città.

Napoli è, come si suol dire di alcune donne, "'nu quadro 'e luntananze". Essa, cioè, appare bella nelle foto e nei video che la riprendono da lontano, a visuale panoramica, grazie alla bellezza dello scenario naturale e l'ingegno degli architetti che nei vari secoli l'hanno disegnata, ma da vicino è un autentico cesso.

La bellezza di Napoli è tutta figlia di una Regina, la Natura, che le ha donato una bellezza ai limiti dell'inverosimile, e di una serie di Re che, più per orgoglio personale che per autentico amore per la città, l'hanno via via impreziosita di palazzi, chiese e sculture meravigliose. Ma di questo spettacolo il napoletano medio è stato sempre e solo spettatore, e spesso distratto, conformemente a quella condizione di suddito e non di cittadino che lo ha costantemente caratterizzato. Basti pensare (ed io penso a ciò con malinconia) a quel Giacomo Leopardi, massima espressione dell'intelligenza e della poeticità umane, che passeggiava per le strade di Napoli nell'indifferenza generale.

Il popolo napoletano va millantando, per mari e per monti, urbi et orbi, di una sua bellezza che in realtà non gli appartiene affatto, rispetto alla quale è stato fondamentalmente sempre un ospite. Il napoletano mi ricorda quel "cicerone ignorante", interpretato da Edoardo Romano, della trasmissione "Cara Napoli ti scrivo" che, non sapendo assolutamente nulla della storia e della genesi di Napoli nonché dei suoi monumenti, va in giro ad attribuire a suo nonno la costruzione di edifici di secoli prima e raccontando tante altre fandonie ai malcapitati turisti.

Sì, è vero, a Napoli c'è il "caffè sospeso", "la spontaneità", "il buonuomore", "una certa passione"; ma questi sono solo ritagli di vita che gruppi di individui, non appartenenti ad un popolo autentico, hanno offerto a se stessi nel corso dei secoli per rendere più sensata una vita senza alcun valore storico e filosofico. La nascita, proprio in questo vuoto storico, di tanti geni ed artisti non deve affatto meravigliare, perché lì dove c'è il non senso si avverte una maggiore necessità e fame di significato.

Giuseppe Albano


11 settembre 2023

A NAPOLI CHIUDONO LE LIBRERIE E APRONO LE "BOLLETTERIE" - OVVERO SULLA SPARIZIONE DI NAPOLI

Tanti giornalisti, intellettuali ed opinionisti della nostra città affermano con una certa spocchia che Napoli starebbe vivendo un nuovo Rinascimento, e sotto più profili, come si conviene ad un'epoca tutta nuova. E così avremmo un rinascimento etico, culturale, politico, sociale e turistico. La cosa, da napoletano verace, non potrebbe che farmi piacere, se non fosse per il fatto che per le strade di Napoli più che nascituri vedo cadaveri dappertutto, e non mi riferisco solo a quelli di camorra, ai quali la città ha ormai fatto il callo. Ora, due sono le cose: o questi dell'intellighenzia napoletana non hanno una buona memoria dell'epoca rinascimentale o per rinascimento essi intendono più letteralmente il semplice fiorire di nuove cose.

Di nuove cose, in effetti, a Napoli ne sono spuntate tante in questi ultimi tempi. C'è una nuova camorra, più aggressiva, molto simile a quella degli anni '80, secondo quei ricorsi storici cari al nostro Vico, una nuova e più spasmodica ricerca del danaro in sé (non certo nel senso di uno stipendio più adeguato), un nuovo disprezzo verso l'essere vecchi, un disprezzo conforme peraltro ad una tendenza nazionale ed internazionale, un nuovo esercito di ignoranti che credono di essere più istruiti e colti dei loro avi solo perché, rispetto a quelli, usa lo smartphone per dirsi cose più ignoranti e meno colte di quelle che i loro antenati si scambiavano a voce o a penna, una nuova musica, la cosiddetta neomelodia, che scimmiotta generi nazionali, e non solo, senza metabolizzarne affatto il senso musicale e culturale per poter così creare sound originali, come faceva un napoletano vecchio stampo come Pino Daniele, un nuovo esercito di comici che fanno battute basate esclusivamente sull'imitazione ed il disprezzo del prossimo, una nuova e più vasta incapacità di leggere, che consiste nel non riuscire ad andare oltre due righe di un articolo (se non c'è il titolo, altrimenti una riga), cosa che sta portando alla quasi completa sparizione delle librerie e persino delle edicole, ornamenti dell'epoca prerinascimentale (ovvero medievale secondo la lettura di quella intellighenzia cittadina), librerie ed edicole che pullulavano ed infastidivano il formarsi di quelle prime paninoteche e di quei primi centri per le scommesse, prefiguranti l'epoca rinascimentale che stiamo vivendo adesso, epoca rinascimentale in cui chiude una libreria al mese per fare posto ad una nuova bolletteria, fino ad arrivare ad una nuova incapacità strutturale di sfruttare in maniera metodica i moderni flussi turistici, o a quel nuovo costume che consiste nello sporcare sistematicamente i monumenti, tipico di questi nuovi cittadini maggiormente sapienti ma incapaci di capire e difendere almeno le basi della loro storia.

Non c'è che dire, un vero e proprio quadro rinascimentale, pieno di colori e senza ombre, cosa che farebbe indispettire il nostro illustre ospite (Caravaggio) ed esultare Raffaello; d'altra parte non si parla di Rinascimento?!

A parte l'ironia, la cosa che più mi indispettisce di questa nostra intellighenzia cittadina è quel suo decantare, mostrandola a mani tese, quella napoletanità che sta sfiorendo ed imbruttendo paurosamente proprio tra quelle sue mani. Dappertutto c'è un vantarsi di quella napoletanità, di quella diversità, di quella originalità e creatività che ci ha sempre in effetti contraddistinto, senza accorgersi però che, come direbbe Nietzsche, si tratta di una napoletanità monumentale e sterile, non più viva, che non si sta trasformando, a mo' di bruco, in qualcosa di più bello e nuovo, ma in qualcosa di più brutto e stantio.

E così abbiamo, da un lato, dei cantori di una napoletanità che non c'è più, che la declamano in strada come sui media come se essa ci fosse ancora, e, dall'altro, dei cantori di una nuova napoletanità, che in effetti c'è, ma che non è assolutamente napoletanità, ovvero originalità, ma solo scimmiottatura di qualcosa che viene da fuori senza che se ne comprenda il senso e senza evidentemente farla originalmente propria, a mo' dei greci, ovvero dei nostri padri fondatori, che osservando questa nostra nuova originalità potrebbero persino arrivare a sputacchiarci in testa dall'alto del loro passato!

Giuseppe Albano

ECCO PERCHÈ LA NAZIONALE DI CALCIO È DESTINATA A SPARIRE DALLA CIRCOLAZIONE


Ieri sera, a Campania Sport, trasmissione calcistica napoletana ideata dal giornalista Umberto Chiariello, si è dibattuto di una questione che riemerge puntualmente ogni qual volta la Nazionale di Calcio italiana si trova in difficoltà, con al centro la convinzione che la povertà strutturale dei nostri vivai calcistici sia il fulcro del problema. E così si è assistito a quella solita litania a tinte etiche sulla incapacità e non volontà di organizzare il nostro Calcio giovanile come avviene invece in un paese avanzato come gli Stati Uniti d'America (circostanza certamente vera). Questi giornalisti così profondamente etici dimenticano però, d'un colpo, nel loro lamentarsi di rose popolate da tanti stranieri e pochissimi indigeni, che sono loro i primi ad inferocirsi con i presidenti delle proprie squadre del cuore nel caso non ingaggino calciatori stranieri; e spesso si lamentano anche solo del fatto che non li abbiano ingaggiati in tempo! Questa piccola contraddizione è figlia di una contraddizione ben più grande, ovvero quella che vede, da un lato, l'antico retaggio di sentirsi appartenere ad una nazione e, dall'altro, l'essersi ormai avviati (senza regole però) verso una globalizzazione dei mercati che di quell'antico retaggio se ne frega; e se ne frega paradossalmente anche all'interno di coscienze, come quelle dei giornalisti appena citati, che, invece, quel retaggio lo portano in palmo di mano!

A parte questa contraddizione di fondo tutta europea - che non può palesarsi negli statunitensi perché gli stati che compongono la loro federazione non hanno nazionali sportive (non esiste ad esempio una nazionale di basket della California) - una contraddizione che consiste nel voler tenere in piedi un nazionalismo sportivo quando è palese che si va verso una europeizzazione che sancirà, proprio come in America, quello che già si sta consolidando nelle nostre ingenue coscienze, ovvero una supremazia delle squadre cittadine rispetto a quelle statali, è evidente anche il fatto che questi giornalisti, opinionisti e tifosi non comprendono che per realizzare quella strutturazione dei vivai, proprio come negli Stati Uniti, sarebbe necessario che la Politica in Europa si riappropriasse del primato che le spetterebbe sull'Economia e sulla Finanza, primato che ha perso da tempo, considerato che un qualunque stato europeo oggi conta politicamente meno della Deutsche Bank. Il problema è che questi giornalisti, non essendosi ancora accorti di quel processo ineludibile di europeizzazione, non possono certo accorgersi del problema che lo sta accompagnando nel suo realizzarsi.

È del tutto evidente che in un mondo dove la Politica fa da damigella alla Finanza non sia possibile, o meglio non sia conveniente, investire sui vivai dal momento che per acquisire giovani calciatori basta comodamente affacciarsi sul mercato globale, senza contare il fatto che sarebbe assurdo spendere tanto danaro e tanta pazienza per mettere su dei calciatori che poi, complice quel mercato stesso senza regole, le società potrebbero perdere d'un colpo senza un alcun ritorno economico ed umano. Negli Stati Uniti d'America, paese dove si dà molto volentieri ma altrettanto si pretende di ricevere, i giovani che vengono cresciuti dalle società sportive fino alla laurea rappresentano per le stesse e le loro città un patrimonio economico ed umano, restituendo, sotto forma di impegno umano, sportivo e civile, quelle risorse che essi hanno avuto per la loro crescita e formazione. In sostanza, negli Stati uniti d'America il giovane strutturato rappresenta una ricchezza per la realtà che lo struttura, non lo si vede svanire d'un colpo in un mercato selvaggio e senza regole.

Quella contrapposizione nazionali-squadre di club, pertanto, è una contrapposizione che nasconde una contraddizione di fondo, ovvero quella di voler mantenere un impianto nazionalistico in un contesto dove le nazioni vanno inevitabilmente a convergere verso una entità sovranazionale: l'Europa. Semmai, il vero problema è proprio la lentezza con cui si sta procedendo verso quella europeizzazione, dove la Politica, come negli Stati Uniti d'America, dovrà ritornare ad avere il primato, e dove le realtà locali (che nel loro autogestirsi riescono ad avere su di sé un ben più grande controllo rispetto a quello preteso da distanti politiche nazionali) rappresenteranno il fulcro, come nelle antiche città-stato greche, della vita sociale e politica. Senza nazionali sportive, dunque; proprio come negli Stati Uniti d'America.

Giuseppe Albano

10 settembre 2023

ELMAS: IL VERO RUOLO DI UN CAMPIONE MISCONOSCIUTO

Comincio subito col mettere in chiaro le cose: Elmas è proprio un gran calciatore, quello che in napoletano si dice "jucator 'e pallon". Il suo problema, finora, è stato più un problema di coloro che non ne hanno saputo interpretare le qualità tattiche, trasferendo sul calciatore dubbi amletici che appartengono in realtà proprio a loro, ovvero solo a chi finora lo ha utilizzato o interpretato; dubbi che non sfiorano affatto il calciatore macedone.

Quando si vuole comprendere il vero ruolo tattico di un grande calciatore, sarebbe buona norma, nel caso sia uno straniero, osservare attentamente come viene utilizzato dal tecnico della sua nazionale. Chi, infatti, può conoscere le caratteristiche di un calciatore meglio di coloro che lo hanno visto crescere e che per giunta appartengono alla sua stessa genia?!

Elmas è un tipico caso di grande calciatore - perché certamente tale è un centrocampista dotato di un così forte senso del gol, unito a tecnica, dinamismo, duttilità tattica (tanto da poter essere utilizzato in più ruoli), resistenza fisica - sul quale ci si scervella sul giusto posto che gli si deve assegnare in campo. Sono anni che ci si fa la domanda: "Che ruolo ha Elmas? ...è una mezzapunta, un'ala, una mezzala, un tornante o altro?"

La verità su Elmas l'abbiamo saputa nell'osservare la partita di qualificazione agli Europei del 2024 tra Macedonia del Nord ed Italia. Il macedone ha giocato infatti in quel ruolo che meglio rispetta l'insieme di quelle sue caratteristiche riportate sopra. E quale è questo ruolo?! Si tratta del ruolo di "mezzala d'attacco", quello, per intenderci, occupato dal grande Sandro Mazzola decenni fa. Quando dico "mezzala d'attacco", lo dico non a caso, ovvero unendo i due termini "mezzala" e "attacco" solo perché neanche io in realtà abbia ancora capito quale sia il ruolo preciso di Elmas. "Mezzala d'attacco", al contrario, è una locuzione che rappresenta un ruolo preciso e persino dettagliato. Si tratta di quel ruolo in cui un calciatore funge da attaccante che viene da dietro. Per "mezzala", infatti, io non intendo quello che si intende oggi con il termine di "mezzala", ovvero centrocampista con propensioni offensive, occupante uno di quei due posti ai lati del regista in un centrocampo "a tre". Quel termine io lo intendo proprio alla lettera, ovvero "mezza ala". In sostanza, con esso io indico un calciatore attaccante, come lo è una "ala", ma che predilige ondeggiare tra la fascia e l'interno del campo, e che è costantemente in proiezione offensiva. Un incursore, insomma. Per adoperare una metafora bellica, potrei paragonare il ruolo che Elmas occupa durante una partita a quello che aveva la cavalleria nelle battaglie antiche. Elmas ha il compito di sparigliare la situazione che via via si consolida sul campo; rappresenta l'elemento sorpresa all'interno di una battaglia.

Spero che Rudi Garcia valuti Elmas in questo senso e che gli dia, cosa che finora non ha fatto, il giusto peso nel suo Napoli.

Giuseppe Albano